Gennaio cuore d’acciaio (I giorni della merla).

E quella storia di Gennaio, del freddo e della Merla, voi, ve la ricordate?

Fa così tanto freddo, oggi, che m’è tornata in mente, ma sarà stato il gelo, quindi il paraorecchie ed il cappello, che n’è spuntata una versione tutta mia, scritta (e – scusatemi – ma mi compiaccio per la rima) con i ricami della fantasia!!!!!

BUONA LETTURA 


I giorni della Merla, ovvero la storia di Gennaio Cuore D’Acciaio. 

 Capitava, talvolta, che la Merla se ne stesse lì, in disparte, a lisciarsi le candide piume.

Il baluginio dei pochi raggi di sole che si rifletteva su quelle, rimbalzava nella vallata ancora cupa dell’inverno.

Il bianco era di quelli che assorbono tutti gli altri colori, uno spettro infinito in cui immaginare tutti i toni dell’universo.

Da sotto le sue zampette, curate e delicate come solo lei sapeva essere, spuntavano tre sparuti pulcini sopravvissuti tra quelle candide piume all’inclemente Gennaio Cuore D’Acciaio, che si divertiva a sbeffeggiare le povere creature che cercavano riparo negli scarni rami rimasti indenni dal roboante vento che usava lasciare andare dalla sua bocca.

Quella mattina la Merla, guardando i raggi del pallido sole, si azzardò in un sorriso più spavaldo del solito.

“Presto, presto” disse ai pulcini “Vestitevi a festa, oggi è ventotto: Gennaio Cuore D’Acciaio cede il passo al più mite Febbraio” e, dismesse le piume pesanti e un po’ goffe dell’inverno, rivelò una livrea dal candore così acceso che i piccoli stentarono per un attimo a riconoscerla.

“Come sei bella, mamma” disse il timido Piumino Scomposto, ancora arrancante nel disperato tentativo di lisciare le piumette ribelli sulle fragili zampe.

” Sì, mamma, sei davvero bellissima” incalzò la piccola Piumette D’Argento, guardando con disappunto il piccolo schizzo argentato che la natura le aveva lasciato sul collo.

“Mamma, mi accechi con tutto quel bianco” biascicò, farfugliando, Golfino Di Piume, tutto arruffato e scarmigliato e ancora raccolto tra le zampe delle madre.

” Suvvia piccoli, oggi è un gran giorno, vestiamoci a festa, Madre Natura sta per svegliarsi e Gennaio Cuore D’ Acciaio sarà, per mesi, solo un ricordo lontano”.

Nel dir questo si accomodò le piume sul collo, e con il becco, d’un giallo quasi aranciato, iniziò a preparare i piccoli per l’incontro festoso con l’amico Febbraio Germoglio Silente.

Ma, dietro un ramo rimasto quasi intatto, nonostante i lunghi mesi dell’inverno, Gennaio Cuore D’Acciaio guardava, beffardo e cattivo, la tenera scena.

“Povera sciocca” sospirò, e nel farlo un rantolo di vento gelido si originò dalla sua gola. “Pensi davvero di farmi paura con il tuo manto candido? Pensi davvero ch’io vada a dormire?”.

Deciso a non darla vinta a colei che osava sfidare il suo grigio incedere con il bianco candore, bussò alla porta di Febbraio Germoglio Silente, ancora mezzo addormentato e raccolto nella calda coperta di foglie, dono dell’amico Novembre Vento Tra Gli Alberi.

“Buongiorno Gennaio, a cosa devo il tuo saluto, questa mattina?” disse il vecchio Febbraio Germoglio Silente, conoscendo la furbizia del vecchio volpone, padrone del sonno degli animali della foresta.

“Buongiorno mio caro” disse Gennaio, sussurrando a mezza voce, per non scatenare venti troppo freddi e potenti “Pensavo che quest’anno, data la tua veneranda età, e il grande lavoro che hai da fare per preparare i germogli alla rinascita, potresti dormire ancora un paio di giorni, ti vedo stanco e provato”.

Febbraio Germoglio Silente si disse che, in effetti, gli anni mettevano sempre po’ a dura prova il suo lento lavoro. Quegli strani esseri chiamati umani alteravano talmente il delicato equilibrio dell’amica Madre Natura, che ogni anni era più difficile preparare il mondo alla schiusa dei germogli.

Qualcosa, però, al vecchio Febbraio non tornava.

“Dimmi Gennaio Cuore D’Acciaio, cosa ti importa di me, tu che ti diverti a ruzzolare per le piane e per i monti, seminando venti freddi e spazzando tutto quello che incontri sul tuo cammino?”

“Beh, mio caro. Se tu non fai bene il tuo lavoro, io non avrò foglie e rami e prati e monti da spogliare”.

La risposta sembrò talmente ovvia al vecchio e caro Febbraio Germoglio Silente che si disse che per una volta il temperamento di Gennaio Cuore D’Acciaio poteva tornar comodo a tutti: in fondo eran solo tre giorni!

Rivoltandosi, allora, nella calda coperta di foglie, così sentenziò:

“Tre giorni. E che siano tre e non di più. E mi raccomando, giovane Gennaio, sii clemente con le creature del bosco, non far sfoggio della tua potenza, che hai imperversato fin troppo, quest’anno” .

E, detto questo, piombò in un sonno profondo, incurante di tutto.

Gennaio, ottenuto il malevolo accordo, contravvenendo alla promessa appena fatta, tornò a spiare la giovane Merla, da dietro quel tronco lasciato indenne dal tempo.

La vide e sulle labbra, grigie e turgide di vento gelido, si disegnò un sorriso cattivo:

“Vediamo se Madre Natura stavolta avrà favorito più te che me, sciocca Merla dalle candide piume”.

E, non appena vide che lasciava librare nel cielo il piumaggio invernale suo e dei suoi piccoli e volteggiava leggera con i vestiti della festa, uscì da dietro il tronco e proruppe in una risata malefica.

La voce cavernosa rimbombò tra le montagne, si infilò sotto le rocce, rotolò tra le valli e tra i fiumi, gelando il sangue a quei pochi piccoli esseri che avevano osato sperare che il mal tempo stesse ormai terminando.

Le mamme si affrettarono a ritirare i cuccioli nella tana, i fiori, timidi, richiusero in fretta le loro corolle, la linfa degli alberi, serpeggiando rapida, nella terra, avvisò tutti gli altri di tenere al riparo e al caldo i germogli, nell’attesa dell’amico Febbraio, che quest’anno non era arrivato come sempre.

La Merla ormai in volo con i piccoli Golfino Di Piume, Piumette D’Argento e Piumino Scomposto, rimase sospesa a mezz’aria, incapace di capire cosa stesse accadendo.

Negli occhietti, neri e vispi, si disegnò un gelo antico, la consapevolezza che qualcosa stesse minacciando lei e la sua prole, ma non seppe dir nulla o spiegar loro cosa stesse accadendo.

La dolce Madre Natura, accomodata accanto ad un ruscello e protetta da un abito di sempreverdi aghi di pino, intessuto per lei dalle abili mani delle fate del bosco, sentì il tuono potente che serpeggiava nelle valli e rimase sospesa, senza tempo, in attesa di capire cosa fosse successo.

Guardò l’amico Sole, rimasto agganciato a mezz’aria nel cielo e si sorprese a pensare che il caro Febbraio Germoglio Silente stesse tardando per l’ora del tè.

D’un tratto, nel cielo, tra le lame d’acciaio che lo spavaldo Gennaio lanciava senza sosta, vide quattro piccole macchie bianche, luminose, d’una luce accecante.

E allora comprese.

L’antico rancore di Gennaio Cuore D’ Acciaio per il regalo fatto nella notte dei tempi a quell’esserino indifeso, aveva finalmente trovato il modo di esplodere e trovare risposta.

Si alzò, in fretta, cercando di correre ai ripari.

Si alzò in volo, sfidando il vento impetuoso e si mise di fronte a Gennaio, imponendogli di starla a sentire:

” Gennaio, cosa ci fai tu qui? Io ti ordino di rientrare e di lasciare il passo a Febbraio. Lascia in pace le creature del bosco, abbandona la tua acrimonia. Il bianco è solo un colore, per l’amor del cielo, rientra nei ranghi”.

Ma Gennaio, reso potente dall’antica legge per la quale Madre Natura può su tutto, meno che sul tempo, si alzò e imponente e sprezzante sentenziò:

“L’amico Febbraio aveva bisogno di più giorni per portare a termine il suo compito. Io mi sono offerto di guardare il mondo per lui, quindi ora, cara Madre Natura, lasciami in pace e fa ch’io termini il mio lavoro”

Le fate del bosco, e le piante, e le erbe, e gli animali, e il creato tutto, iniziarono a piangere pensando alla sorte della povera Merla e dei suoi piccoli, lasciati in balia di Gennaio Cuore D’acciaio.

Ma Madre Natura non si diede per vinta.

Sfidando la tempesta che Gennaio, gorgogliando, lanciava nel cielo, e la neve che iniziava a coprire con un turbinio incessante il mondo tutto, si avvicinò alla povera madre e ai suoi cuccioli e li mise al riparo nelle sue gonne.

Ma non poteva sfidare il tempo.

L’antico patto, sancito alla nascita del mondo, lasciava ai mesi e ai giorni l’operato sul creato. Lei poteva solo vegliare che tutto fosse svolto con giustizia, rispettando le creature più deboli.

La povera Merla non riusciva a tener testa a quel vento. Provava a riprendere i pulcini, terrorizzati e infreddoliti, che perdevano già la forza di alzarsi, nel cielo, e iniziavano a precipitare nel vuoto, attanagliati dal freddo. Quel freddo che chiude gli occhi e regala i corpicini alla terra.

La Merla, ormai terrorizzata, quando vide arrivare l’antica Madre Natura, con le ultime forze che aveva nel corpo, raccolse i suoi piccoli e poi, stremata, svenne tra le braccia della signora del creato.

Lei, piangendo lacrime amare, e temendo per la piccola creatura, cui aveva fatto dono della più bella veste che il signore le avesse messo a disposizione, volò tra le valli cercando un posto, dove nascondere la famigliola, al sicuro dal possente Gennaio Cuore D’Acciaio.

Scorse, in un angolo remoto, una piccola costruzione arroccata sotto un monte. Era la casa di un contadino, cui aveva visto spesso fare una carezza ai suoi animali e parlare con i rami e con le piante, quasi fossero figli suoi.

Il pover’uomo vide solo un turbine nell’aria e, borbottando qualcosa in merito alle stagioni ormai strane, si rintanò nella casa, alimentando vieppiù il camino, le cui fiamme si svilupparono su per la canna fumaria, sprigionando un fumo nero pece che avrebbe nascosto ogni cosa al mondo.

Fu un lampo.

La coraggiosa Madre Natura prese la Merla e i suoi pulcini e li adagiò, al caldo, nell’imboccatura del comignolo, sperando che i cuoricini, alimentati dal calore, tornassero a battere.

Poi scappò via, certa che se Gennaio l’avesse vista non avrebbe esitato a spegnere il fuoco e non si sarebbe dato per vinto fin tanto che non avesse visto morire la Merla e la sua splendida livrea.

 

Tre giorni sono lunghi da veder volgere alla fine, quando si attende che il tempo passi.

La dolce Madre Natura, stretta nell’abbraccio dei suoi piccoli amici e tra le ali magiche delle fatine del bosco, scrutava l’aere e i giochi crudeli di Gennaio Cuore D’Acciaio.

Il cielo era grigio ghiaccio e incombeva sul mondo.

Di tanto in tanto anche il povero e ignaro contadino socchiudeva l’uscio scrutando fuori, cercando di comprendere le bizze del clima.

E subito si ritraeva in casa, alimentando il fuoco con un bel ciocco di legna, che adagiava tra le fiamme, ringraziando ogni volta gli amici alberi che gliene avevano fatto dono.

Il fumo del camino usciva denso e nero, tracciando una linea nel cielo, visibile da luoghi lontani.

Trascorsero le ore, prima lente, poi veloci, in una danza strana che ricordava il gorgogliare dei fiumi tra i ciottoli, quando si gonfiano di vita.

Il calore del camino, trasportato dalla spessa coltre di fumo, scaldava pian piano i piccoli corpicini alla lasciati nel comignolo inerti e quasi senza vita, da Madre Natura.

“Tsi, tsi” tossì il piccolo Piumino Scomposto “Mammina, dove sei? Non vedo nulla, che succede?”.

“Mamma, mamma” incalzarono Piumette D’Argento e Golfino Di Piume, in coro.

La giovane Merla nel sentire le piccole voci, si scosse dal suo torpore e, sforzando gli occhi nel fumoso colore che li avvolgeva, strinse a se i suoi tesori, mentre con voce dolce e melliflua iniziò a cantar loro una nenia, nell’attesa che il tempo facesse il suo corso.

Le note risuonarono nel creato, corsero, come linfa vitale, tra le pietre, si infilarono nelle tane dei piccoli animali e solleticarono le orecchie dei grandi orsi dormienti.

I vecchi alberi e i giovani arbusti si strinsero nei rami, commossi da tanta dolcezza, mentre le guance della dolce Madre Natura si prestavano ai giochi delle lacrime che sgomitavano per venir fuori e lenire i cuori che le custodivano.

Quel canto, così dolce e così lento, si infilò nel sibilo dei venti che tornando dopo gli impetuosi giri nella gola del possente Gennaio, raccontarono a quel duro cuore il dolore che avevano raccolto.

Tempo ci volle ma, infine, anche lo sprezzante e spavaldo animo si incrinò sotto il dolore e la dolcezza di una madre che consola i suoi piccoli.

Gennaio, con un ultimo colpo di tosse, che fece tremare il mondo, roboante e profondo, cessò la sua furia e, con una lacrima che squarciò la sua veste grigia, si sedette alla porta di Febbraio Germoglio Silente, pregando il creato affinché le ultime ore di questi giorni ingiustamente ottenuti, passassero in fretta.

Febbraio, sbadigliando e stiracchiando le membra, aprì di lì a poco la sua porta e trovò un giovane Gennaio affranto e abbandonato a se stesso, seduto in un angolo.

Scuotendo la saggia testa, si fece raccontare la sua storia e consolò, con un abbraccio quasi paterno, l’irruenza di un giovane cuore invidioso.

In quel mentre, richiamata dal chiarore del cielo, dal comignolo in cui era nascosta, la giovane Merla scrutava nell’aria, nel tentativo di capir se poteva spiccare il volo, temendo ancora una volta il ritorno del gelo.

Madre Natura, che seguiva da lontano le sorti della giovane madre e dei suoi piccoli, cavalcando un raggio di sole, andò a prenderli e disse loro, sorridendo amorevolmente, che potevano far ritorno all’amato nido.

La giovane Merla, seguita dai piccoli impazienti, iniziò a volteggiare nell’aria, librandosi, felice, tra le falde dell’abito azzurro pastello che il cielo aveva finalmente deciso di indossare.

Non poteva, lei, immaginare lo sgomento che prese il creato nel vedere la splendida e candida livrea diventata di un nero scuro come la pece.

La Merla non capiva gli sguardi interdetti di quanti la osservavano e nemmeno sembrava comprendere come avessero fatto, lei e i suoi tesori, a ridurre i mantelli a quel modo.

Si spinse, dunque, sul bordo di un fiume e, nascosta in un’ansa, in cui il sole aveva tuffato un suo raggio, strofinò e strofinò e strofinò i suoi piccoli e lei, nel vano tentativo di toglier via la fuliggine.

Si sforzò a lungo, la Merla, mentre copiose le lacrime solcavano le guance e i piccoli cuoricini si schiantavano sotto il dolore della perdita di quel dono tanto amato.

Gennaio, intento a far le valigie, sentendosi in colpa per quanto commesso, si armò di coraggio e corse a bussare alle porte del Tempo, chiedendo, piangendo e imprecando, di poter rimediare all’errore commesso.

Tempo, infastidito dal pasticcio generato da un gioco invidioso, eppur intenerito nel vedere le lacrime sul viso di Gennaio, posò una mano sui cirri impetuosi che formavano la folta capigliatura dell’inquieto mese e lo consolò dicendo che avrebbe provato a porre rimedio, ammonendolo di non provare mai più a sovvertire un ordine esistente da prima che il tempo avesse un nome e fosse equamente diviso tra i baldi e coraggiosi mesi dell’anno.

Tempo andò da Madre Natura.

Le valli risuonavano del pianto della giovane Merla e il colloquio, intervallato da quel lamento, fu duro e faticoso.

Parlarono a lungo, quei due, tanto che le ore si stancarono di attendere e presero a rincorrersi sui liberi prati della noia.

Quando Tempo si alzò, abbracciando Madre Natura, come per un’antica magia le lacrime si asciugarono dal volto della Merla e dei sui piccoli.

Il Sole squassò in un istante il cielo e avvolse i piccoli e la madre, in un morbido abbraccio che tolse ogni dolore.

Ritraendosi lasciò, sulle piume di quelli e degli altri merli tutti che sarebbero di lì a quel giorno venuti, splendidi ricami di luce che portavano con se giochi di rosso, viola e blu, che si scoprivano, nel luccicare del sole e a ogni movenza dei piccoli esseri.

La foresta, allora, tornò ad acquietarsi.

Anche il contadino, ignaro di tutto, ma consapevole che nella grande ruota del mondo un ingranaggio stesse cambiando per sempre, prese una seggiola e si mise a sedere nel piccolo raggio di sole che scaldava l’aia dinanzi la sua casa.

Da quel lontano giorno Gennaio conserva la sua lunga durata, ma ha imparato, talvolta, a cedere il passo alle altre stagioni.

Seguendo il patto, sancito da Tempo con Madre Natura, se i suoi ultimi giorni sono impetuosi, e freddi, e grigi, perché il suo cuore irruento non ha saputo calmarsi, la Primavera sarà dolce e mite, pronta a lenire il freddo lasciato dall’amico Inverno.

Se invece Gennaio Cuore D’Acciaio, colto dal dolore di quanto allor fatto, si rincantuccia in un angolo, lasciando modo al sole di scaldare il terreno battuto dai suoi possenti respiri di vento, per non alterare l’equilibrio delle stagioni la Primavera sarò più dura, dispensando piogge e venti che Gennaio le ha lasciato nella bisaccia.

I Merli, invece, e da allora, volteggiano neri nei cieli, padroni del tempo e dei climi, incuranti del caldo e del freddo.

La loro livrea non muta più, con il cambiar delle stagioni e il bianco è ormai un ricordo lontano, ma cattura nel sole colori sfavillanti che il nero, per sua stessa natura, non potrebbe possedere.

Capita tuttavia, talvolta, di vedere un raro esemplare di Merlo che fu.

Il suo piumaggio è bianco, di un candore irreale, ma, a ricordo di un giovane Gennaio irruento e bizzoso e a memento di quanto l’invidia possa arrecare dolore, si notano, a tratti, piccole piumette nere, distribuite con tanta grazia e sapiente maestria, da far risaltare ancora e più forte quel dolce candore, regalo di Madre Natura e di un tempo lontano, in cui Gennaio era più breve e il buon vecchio Febbraio portava sul cuore più giorni di quelli che adesso possiamo contare.

33 pensieri su “Gennaio cuore d’acciaio (I giorni della merla).

  1. E’ valsa davvero la pena aspettare il tuo ritorno! Hai riscritto una versione meravigliosa della leggenda dei Giorni della Merla. Ne è uscita una favola dolcissima, piena di significati ed emozioni. Sei molto brava a scrivere, leggendoti mi sento trasportare in un mondo magico nel quale ritrovo le cose positive della vita. Grazie, mia cara, resta con noi, adesso! Un sorriso e un abbraccio. 😀 ❤

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  2. Cara Nazaria, hai lasciato un vuoto e come in tutti i vuoti ci cadono dentro foglie ancora in giro dall’autunno, scivolano dentro granelli di sabbia, si perdono ridondanti echi senza fine. E poi va a finire che questo vuoto diventa un urlo,, un richiamo. lo spazio assente si trasforma in un suono persistente. Ci sono foglie che volteggiano ancora dall’autunno, ci sono suoni ancora in viaggio. In quale primavera sei finita?

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